L’ infibulazione è una pratica chirurgica di mutilazione dei genitali femminili cui vengono sottoposte nel mondo migliaia di donne. Si stima che ogni anno 3 milioni di bambine si aggiungano ai 130 milioni di donne gia’ infibulate.
Si tratta di una tradizione che ha attraversato il tempo, le religioni ed i continenti e non è, come erroneamente si crede, una tradizione prettamente mussulmana. Viene praticata anche da animisti, cristiani ed ebrei in 40 paesi del mondo, non solo in Africa ed in Asia ma anche in alcune regioni della Russia, tra i Maori della Nuova Zelanda ed ora anche in Europa Occidentale e negli Stati Uniti. Ogni cultura ha comunque elaborato una variante differente: l’ asportazione del clitoride, delle grandi e piccole labbra e la chiusura dell’ orifizio vaginale, sono associate in modo diverso in base ai luoghi in cui vengono praticate.
Parlare di infibulazione nella società occidentale, soprattutto in questo contesto, potrebbe sembrare fuori luogo ma, se si riflette attentamente sul numero di pazienti straniere con cui un medico si trova ad interagire quotidianamente, appare chiaro che la pluralità culturale nella quale ci troviamo sempre più immersi impone di confrontarsi con tradizioni esotiche e, fino a poche anni fa, a noi sconosciute.
Nel tentativo di arginare il diffondersi di queste pratiche anche in Italia, il governo ha optato per una rigida repressione: il 6 Luglio 2005 iniziò il suo percorso, con l’ approvazione alla camera, una legge con la quale le mutilazioni genitali femminili vennero dichiarate illegali ed il 4 Aprile 2006 avvenne a Verona il primo arresto di una donna nigeriana che le praticava. Il nostro governo ha quindi adottato una linea duramente repressiva, la stessa di molti paesi africani, linea che sembra però non avere ottenuto grandi risultati.
Il problema è che ci si trova a voler eradicare tradizioni millenarie che, seppur nella loro crudeltà, sono fortemente radicate nel tessuto sociale delle popolazioni che le praticano: la prima testimonianza scritta è di Erodoto (484-424 A.C.) ma già nell’ Egitto dei faraoni l’ infibulazione era ampiamente praticata. Bisognerebbe, più che reprimere, imparare a gestire, a livello psicologico e fisico, una situazione che non riusciamo a comprendere fino in fondo e che condanniamo a priori.
Per le donne che vi vengono sottoposte il momento dell’ infibulazione è un momento di transizione in cui si viene accettati in un gruppo sociale: chi si rifiuta ne resta ai margini ed è per questo che molto spesso l’ infibulazione viene richiesta dalle stesse donne e viene vissuta come un momento di festa.
Il problema è che la festa è in effetti un momento di dolore, un momento in cui emorragie ed infezioni mettono in pericolo la loro vita, un momento in cui magari il medico italiano si trova a dover intervenire ed in cui il “relazionarsi” con un altro mondo diventa estremamente complesso. Fondamentale è quindi cercare di comprendere queste donne aiutandole ad acquisire la consapevolezza che essere donna può significare anche poter scegliere se continuare a sottoporsi a pratiche che mettono in pericolo la propria vita oppure rinnovare una società che da secoli le ha ingabbiate in un sistema di pensiero che ne mutila il corpo per gestirne le menti.